Il self-talk, o più omunemente il dialogo con se stessi, è una pratica molto importante in ogni campo della nostra vita. Nel campo sportivo è sicuramente un qualcosa di molto incisivo, e a volte determinante, per la buona riuscita di una competizione.
Iniziamo, prima di tutto, a definire cosa si intende per comunicazione.
La comunicazione, sia che avvenga tra due parti, sia che avvenga attraverso un dialogo mentale con se stessi, significa mettere in comune due persone. Ovvero, i soggetti A e B devono avere una conoscenza in comune. Se, per esempio, un medico ti parla ma tu non conosci la sua materia, non capirai nulla di quello che ti dice e, pertanto, non potrai dargli un feedback. Questo perché, quando due persone si parlano, ognuna delle parti elabora le informazioni sulla base delle sue conoscenze e del suo vissuto. Quindi, quando le persone dicono ‘non capisco’ molto spesso abbiamo dato per scontato che avessero quel dato tipo di conoscenza. Ecco perché spesso nascono incomprensioni.
Ci dovrebbe essere anche una certa rispondenza per affinità in campo sociale. Ad esempio, un medico che parla con un operaio in termini tecnici, deve cercare di adattarsi al livello di una persona che non ha studiato medicina e usare un linguaggio semplice, per farsi capire bene.
Lo stesso nel settore sportivo, dove spesso i tecnici danno per scontate alcune terminologie pensando che il genitore le capisca, ma il tecnico ha un certo tipo di conoscenza e formazione e non è detto che il genitore ce l’abbia, poichè nella sua vita spesso fa tutt’altro.
Ma, come fare per farci capire al meglio?
Esistono i cosiddetti 5 servitori della comunicazione, che sono: ‘chi’ ‘come’ ‘dove’ ‘quando’ ‘perché’.
La comunicazione dovrebbe rispondere a queste domande: chi fa cosa, come deve essere fatto, quando e perché deve essere fatto. Altrimenti si possono lasciare dei dubbi. Per esempio, se diciamo ‘qualcuno questa sera ritiri l’attrezzatura’ non abbiamo detto chi lo deve fare ed è molto probabile che nessuno lo faccia!
Si dice che tutto comunichi, anche il silenzio. E bisogna sempre stare attenti, perché la comunicazione viene sempre interpretata da chi la riceve. Se dico a una persona ‘sei uno stupido…’ magari lo sto dicendo scherzando, ma se la persona che lo riceve non è in uno stato d’animo positivo, non la prende come uno scherzo ma come un’offesa, perché è in un momento particolare. Da qui divisioni, contese, disguidi, perché l’emittente non può sapere lo stato d’animo e dove va a finire la parola che ha detto. Che va sempre a segno. In alcuni testi biblici si dice che la parola è come un sasso. Una volta lanciata non torna indietro e colpisce sempre.
La parola è: o per costruire o per distruggere. Questo è il compito dei genitori e dei coach, usare bene le parole. Nel dubbio di dire cose offensive, meglio tacere!
Come abbiamo visto, quindi, tutto comunica e i canali che abbiamo per ricevere la comunicazione sono due: quello visivo e quello uditivo. Ora ci concentriamo su quello che sentiamo e quindi su quello che riceviamo,.che le persone ci dicono e che non sempre sono cose positive che ci fanno bene. Bisogna vedere cosa ne facciamo di quello che riceviamo – perché magari ci crediamo pure – quindi a come le elaboriamo, le crediamo e pensiamo che siano la verità. I genitori, qui, hanno un grande compito. Perché se diciamo a nostro figlio ‘non sei mai capace di fare niente’, ‘sbrigati’, ‘lo faccio io che tu non sei capace’, ‘ecco… lui si che è ordinato’, ‘guarda tuo fratello come è bravo’, tutto questo porta il bambino a credere che sia qualcosa di vero perché se me lo dice mia madre o mio padre che io sono capriccioso, che… che… che…allora io comincio a creder che sia vero. Per citare ancora la Bibbia, morte e vita sono in potere della lingua e per usare una metafora schermistica, ferisce più la lingua della spada.
E siccome non abbiamo sempre intorno persone che ci aiutano in questo, se abbiamo genitori all’avanguardia, sapranno incoraggiarci sempre.
Ecco che, allora, dobbiamo cambiare il nostro modo di parlare. Delle voci che ci arrivano dall’esterno dobbiamo imparare a prendere quello che ci serve e buttare via quello che non ci serve. Uno può venire a dirci ‘tu non vali niente’ ma noi sappiamo che non è così, sappiamo che valiamo, che non è così e quindi non ci diamo peso. Diverso è se ci vogliamo credere.
Il self talk serve proprio a questo. Noi rispondiamo sempre a degli eventi. Succede qualcosa di bello e di felice e le emozioni sono al top e allora possiamo fare delle affermazioni positive. Il problema avviene quando un evento lo interpretiamo in maniera negativa come ad esempio al mattino, vediamo il traffico e la prima cosa che diciamo a noi stessi è: ‘oggi arriverò in ritardo’ e quindi abbiamo già decretato come andrà la giornata, l’abbiamo interpretato in maniera negativa e quello che esce dalla nostra bocca come risposta immediata è ‘oggi sarà una giornata no’. L’abbiamo decretato noi e quindi, molto probabilmente, sarà una cattiva giornata. Così succede per esempio nello sport quando in un assalto, dopo che abbiamo perso una, due, tre stoccate ci diciamo ‘oggi non è giornata per vincere un assalto’, ‘non riesco a fare quello che faccio sempre in allenamento’, ‘non mi sono allenato abbastanza’, ‘forse non è il mio sport’. In base agli eventi, se non vanno in maniera positiva, automaticamente il tuo atteggiamento cambia. Quindi la tua dichiarazione più spontanea è negativa. Perché è un circolo. E allora se perdi una gara cerchi di cambiare allenatore, club, magari anche sport così come quando non vai d’accordo con i colleghi di lavoro cerchi di cambiare ufficio, oppure se non vai d’accordo coi vicini cambi casa, etc… noi cerchiamo sempre di cambiare gli eventi ma gli eventi non li possiamo cambiare. Se il traffico c’è, c’è per tutti, se il vicino è un cretino, rimarrà un cretino, quindi anche se cambi casa ti troverai il cretino del nuovo condominio, se cambi allenatore magari ti accorgi che non era l’allenatore il tuo problema e avrai gli stessi problemi in quella squadra. Ci sono persone che girano in continuazione senza risolvere il problema di fondo. Ecco che il problema è l’evento che è l’unica cosa che noi non possiamo cambiare. Possiamo cambiare l’attrezzatura, l’allenamento, ma la cosa importante che possiamo veramente cambiare è l’approccio all’evento. Due persone che affrontano lo stesso evento possono interpretarlo in maniera diversa ottenendo risultati diversi.
Anche di fronte a una sconfitta possiamo scegliere come reagire. Possiamo dire ‘non mi va mai bene niente’, ‘perdo tutti gli assalti’, ‘non vado avanti nel ranking’, oppure possiamo fermarci e pensare a qualcosa di diverso riguardo a quella stessa gara.
Spesso noi vediamo solo quello che vogliamo vedere mentre dovremmo sforzarci di andare oltre e assumere un atteggiamento positivo e quindi affermazioni positive.
L’atteggiamento è fondamentale in una gara. Sono molti gli atleti le cui testimonianze affermano proprio questo. Nel pugilato, ad esempio, alcuni pugili hanno ammesso di aver già perso l’incontro contro Mike Tyson prima di combatterlo. Le sue affermazioni infatti, studiate a tavolino, miravano a distruggere l’avversario prima di affrontarlo. Tyson era molto intelligente sul piano psicologico e tutto ciò che faceva, dal modi di vestire, di parlare, di atteggiarsi, di aggredire gli avversari prima degli incontri, era frutto di uno studio e di una preparazione che andava al di là della preparazione tecnica e atletica.
L’atteggiamento non arriva a caso. Nasce da una consapevolezza, da un pensiero positivo che non è frutto del caso ma di un allenamento. Dal pensiero si passa a un’emozione positiva, la voglia di vincere e di fare bene e infine a una dichiarazione positiva. Quando tu dici ‘io ce la posso fare’ significa che hai valutato quella gara, hai pensato che sicuramente troveraoi le risorse per affrontarla al meglio perché hai sicurezza dentro di te, le tue emozioni sono di piena fiducia, il tuo atteggiamento di sicurezza estrema e di conseguenza la tua affermazione è ‘io ce la farò’.
Questo, in sintesi, il ciclo del self-talk, parlare a se stessi incondizionatamente. Parlare a se stessi fin dagli allenamenti.
E questa è una cosa che possiamo fare nello sport ma anche al di fuori, perché ognuno di noi, al mattino quando si sveglia, decidere se affrontare al meglio la giornata o farsi abbattere.
Concludendo, non possiamo cambiare gli eventi. Se non ci piace la pedana dove stiamo tirando, non la possiamo cambiare; se hai il pubblico contro, non lo puoi cambiare; se il giudice ha interpretato la stoccata in modo sbagliato e ha assegnato il punto all’avversario, non lo possiamo cambiare; l’unica cosa che possiamo cambiare è dentro di noi, quindi il nostro modo di pensare rispetto all’evento.
E’ questo il self-talk dell’atleta. Cosa che in molti sport si trasforma anche in un auto-incitamento che resta fine a se stesso se appoggiato su un pensiero non costruito su queste basi. E’ un aiuto che ci permette di affrontare al meglio le situazioni quando intorno a noi non ci sono persone che ci aiutano in maniera positiva. L’ideale sarebbe avere un team che costruisce insieme a noi l’ambiente positivo. Ma… nessuna scusa! Ognuno di noi è responsabile di ciò che pensa, di ciò che prova, di ciò che dice.