Juan Cruz Llaryora rappresenta la nota sudamericana del vivaio della Hippo Basket Salerno. Istruttore di Minibasket e allievo allenatore, l’argentino originario della remota regione della Patagonia è per il terzo anno uno dei componenti dello staff tecnico del club granata. Giunto in Italia per riscoprire le sue radici, dopo aver conseguito la cittadinanza, “Giovanni” anche in questa stagione sta mettendo al servizio dei bambini e dei ragazzi le sue indubbie qualità.
– Tante cose sono cambiate da quando sei arrivato a Salerno, alcune belle, altre meno. Sei diventato italiano a tutti gli effetti, hai conseguito i titoli necessari per allenare sia nel Minibasket che nel Settore Giovanile, hai iniziato a fare anche progetti scolastici, continui a giocare (e sei primo in classifica col Cava Basket in Serie D). Tutto questo in era Covid. Dove trovi l’energia per fare tutto questo, sempre col sorriso?
«Sicuramente dal punto di vista personale ha tanta voglia di crescere, ho ancora la curiosità di fare e provare cose nuove, la testa per fortuna continua a lavorare per inventare, creare. Questa energia mi arriva anche dalle persone con cui condivido questo percorso, iniziando dalla Hippo e arrivando a tutte le persone che ho conosciuto tramite la società. Persone che oggi sono molto importanti nella mia vita. Senza mai dimenticarmi la spinta che ho dalla famiglia dall’altro lato dell’oceano. A volte dal punto di vista emozionale non è facile, ma loro sono sempre lì ad appoggiarmi e a darmi forza».
– Alla Hippo si può dire che hai trovato una vera e propria famiglia, che si è rivelata pronta ad accoglierti. Nonostante la pandemia, che ha rallentato le attività, come giudichi il lavoro svolto da quando sei arrivato a Salerno?
«E che Famiglia! Dalla prima e-mail scritta in un italiano proprio schifoso (si, sono andato a rivederla) fino ad oggi sento sempre lo stesso calore. Non solo con gli altri allenatori e dirigenti, ma anche con i bambini, i ragazzi e le loro famiglie. Quelli che 3 anni fa erano U13, oggi si stanno allenando con voce grave e muscoli già formati, arrivano in palestra e mi salutano con un bel sorriso in faccia anche se non sono più il loro allenatore. Il lavoro fatto in questi anni è stato giusto dal punto di vista delle emozioni e della socialità. Ovviamente, dal punto di vista tecnico/tattico ci sarà sempre da migliorare visto che la formazione non finisce mai, ma seguendo ed imparando dagli allenatori con cui ho la possibilità di collaborare sicuramente il lavoro si svolgerà ogni volta meglio. Alla Hippo non ci siamo fermati mai: ci siamo fatti trovare pronti a ripartire nonappena è stato possibile, abbiamo mantenuto i contatto con le famiglie durante tutto questo periodo difficile, abbiamo cercato di arrivare in ogni angolino della città tramite progetti con le scuole, abbiamo trovato strutture ed spazi per fare allenamenti costantemente. Il merito è della società, che ci mette in condizione di fare tutto ciò».
– Prima i corsi all’aperto in collaborazione col CSI, poi il ritorno al chiuso. Come hai ritrovato i bimbi del Minibasket Hippo?
«Con tanta voglia di riprendere quel pallone arancione e farlo rimbalzare, tirarlo, passarlo, rincorrerlo. Con voglia di ritrovare gli amici in palestra e di fare l’urlo alla fine di ogni allenamento. Il fatto che loro possano fare tutto questo in modo adeguato e sicuro tocca ovviamente a noi. Dopo due anni senza attività, gli aspetti che riguardano il movimento, nella famosa età d’oro della motricità, non si sono visti proprio. Allora si tratta di partire dalle basi, un piede dopo l’altro, passo dopo passo, e rivedremo i nostri Hippini tornare in campo a giocare come prima».
– In attesa delle prime partitine, che si disputeranno nonappena ci sarà la possibilità di farlo in sicurezza, con il gruppo Aquilotti che segui da vicino su che cosa state cercando di lavorare in particolare?
«Primo obiettivo: divertirsi e trovare il piacere nel movimento. E credo che sia l’obiettivo che proviamo a perseguire insieme a tutti gli altri istruttori del Minibasket. Partendo da questa premessa, crediamo che la figura dell’altro dopo due anni trascorsi a casa sia importantissima. Giocare con e giocare contro, per sviluppare di più il senso di squadra, il controllo del corpo nello spazio e nello spazio, entrare in relazione con gli altri, giocare senza farci male e lavorare sui fondamentali sempre in un contesto ludico. Il nostro Minibasket è fantastico».
– Quest’anno stai dando una mano anche al Settore Giovanile, come assistente sul gruppo Under 13. Ti senti a tuo agio anche con i più grandicelli? Com’è questa nuova esperienza?
«Sebbene il Minibasket è stato quello in cui mi sono confrontato di più nella mia “carriera”, con questa categoria mi trovo proprio bene. Il fatto di condividere il gruppo con Michele Masturzo è un vantaggio, perché intendiamo il basket allo stesso modo e perchè mi dà anche lo spazio per provare delle cose nuove e mettermi alla prova in ogni allenamento. Credo che anche il fatto di aver fatto il corso di allievo allenatore e la formazione costante che abbiamo da parte del nostro staff mi abbiano aiutato a focalizzarmi su quello che si deve fare con ragazzi e ragazze di questa età. Essere giocatore non vuol dire saper allenare, saper far fare agli altri il giusto nel momento giusto non è semplice né scontato. Sono molto sodisfatto da questo punto di vista. In questo periodo, si sono presentati molti nuovi ragazzi che stanno scoprendo con noi questo sport, anche grazie al corso per “Amatori”, e mi fa molto piacere farglielo conoscere sempre col sorriso sulle labbra».
– Che cosa ti piacerebbe realizzare con la Hippo che ancora non hai avuto la possibilità di fare?
«Sicuramente ho un “debito” col settore giovanile. Tra una cosa e l’altra non sono riuscito a mettermi per bene a “sfruttare” la grande esperienza e conoscenza del gioco che ha un allenatore del calibro di Aldo Russo. Ho potuto svolgere solo alcuni allenamenti al fianco di Valerio Russo e ora seguirò le partite come assistente dell’U15 con Viviana Diavoletto. Sono sicuro che arriverà il momento in cui potrò stare maggiormente con loro per imparare, soprattutto per capire se il settore giovanile farà parte della mia vita, magari come futuro capo allenatore».