MiniBaskeTiamo 3 – Stili e metodi

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Ciao Amici del Minibasket…

Questa settimana, sull’onda dell’argomento della scorsa puntata, voglio parlarvi di qualcosa che da qualche anno mi sta molto a cuore, e che è a mio parere determinante nella buona riuscita del nostro “lavoro” con i bambini: i metodi e gli stili di insegnamento.

Un argomento ostico e di difficile interpretazione. Spero abbiate la pazienza di arrivare a leggermi fino in fondo, e soprattutto la mia speranza (senza voler essere presuntuoso) è quella di riuscire a chiarire qualche dubbio legittimo.

Spesso, nel mondo dei nostri settori giovanili, come anche in quello della scuola e delle altre attività sportive, si sente dire dagli addetti ai lavori che “i bambini sono cambiati”, “ai nostri tempi era diverso” o che “la società di oggi non aiuta i bambini a crescere bene”. Tutto vero, probabilmente, ma come spesso sento ripetere alla guida del nostro Settore Giovanile a livello nazionale, Andrea Capobianco, possiamo disquisire di questi cambiamenti, creandoci alibi su eventuali nostri insuccessi, o possiamo trovare soluzioni, per aiutare i nostri bambini a superare queste difficoltà.

E sulla base di tutto ciò è mia intenzione parlarvi di come nel tempo le metodologie e le “strategie” di insegnamento sono notevolmente cambiate, tanto che oggi siamo arrivati alla definizione di due modelli principali a cui rifarci nella nostra programmazione: il modello funzionalista e quello cognitivista.

 

Il modello funzionalista, evitando di scendere in particolari estremamente tecnici che potrebbero risultare noiosi, è più vicino al mondo del basket, e utilizza la teoria e metodologia dell’allenamento per spiegarci come allenare i nostri giocatori, partendo da presunte capacità motorie.

 

Nella programmazione dell’insegnamento che risponde al modello di apprendimento neo-cognitivista gli obiettivi, invece, sono costituiti dalle conoscenze, dalle abilità e dalle competenze che l’allievo deve apprendere e padroneggiare (ad esempio i fondamentali tecnici e quelli di gioco).

A tal fine, per cercare di raggiungere gli obiettivi prefissati, ci serviremo di stili e metodi d’insegnamento, sia di tipo deduttivo che induttivo.

Il riferimento, in questo caso, è costituito dalla teoria e metodologia dell’insegnamento.

 

Stili di insegnamento e metodi didattici, almeno apparentemente, possono sembrare sinonimi. Vediamo di fare un pò di chiarezza:

I primi riguardano il tipo di approccio (direttivo o non direttivo) che caratterizza l’azione formativa sul piano della relazione pedagogica e quindi la comunicazione e il clima educativo.

 

I secondi, invece, riguardano il tipo di approccio (deduttivo o induttivo) che caratterizza l’azione formativa sul piano della didattica delle attività, e cioè come propongo e come insegno i contenuti.

 

Da questa sottile ma profonda distinzione deduciamo che i due termini affrontano argomenti complementari tra loro ma non sono sinonimi.

 

Il concetto di stile di insegnamento si fonda su diversi aspetti, quali le decisioni e le scelte assunte da chi insegna, il “come” della sua comunicazione & relazione, il grado di autonomia degli allievi e per finire le modalità di controllo sociale dei comportamenti degli allievi.

 

Potremo definire quindi lo stile di insegnamento come la relazione pedagogica che si instaura tra istruttore e “allievi”.

Esistono stili di insegnamento BUONI o CATTIVI? No, sicuramente no, ma è corretto asserire che ne esistono di PIU’ o MENO ADEGUATI.

 

Se direttivo, è centrato su chi insegna e sul controllo che egli è in grado di effettuare sullo svolgere dell’attività e sugli allievi, consente di sapere sempre cosa e perché si realizzano certe attività piuttosto che altre, prevede un uso efficace del tempo didattico e dei suoi contenuti ma può determinare scarsi livelli di coinvolgimento emotivo degli allievi, bassi livelli di autonomia e talvolta crisi nell’autostima.

 

Lo stile non direttivo, di contro, è centrato sull’interazione e sulla comunicazione bidirezionale tra chi insegna e i suoi allievi, i quali attingono informazioni dall’insegnante e quindi vengono guidati e sollecitati alla conoscenza.

Favorisce, inoltre, lo sviluppo dell’autonomia, della creatività, dell’autostima e consente la partecipazione di tutti e di ciascuno con un elevato coinvolgimento sociale, emotivo e cognitivo ma necessita di tempi lunghi e di verifiche continue, e può determinare difficoltà nel controllo sociale del gruppo.

 

I metodi didattici invece sono procedure di insegnamento finalizzate a far conseguire a chi apprende gli obiettivi programmati.

Hanno la funzione di creare le migliori condizioni per consentire i processi di apprendimento e sviluppo nei bambini, risultando quindi una importante guida e risorsa per l’insegnante.

Nessun metodo in assoluto è da preferire agli altri, ne li prevaricherà, in quanto la preferenza di uno sugli altri è derivante da molteplici fattori, come i contesti in cui si opera, gli obiettivi, i contenuti, i mezzi a disposizione.

 

I metodi deduttivi (prescrittivo, misto, assegnazione dei compiti) sono centrati prevalentemente sulla presunzione delle competenze di chi insegna, mentre quelli induttivi (libera esplorazione, scoperta guidata e risoluzione dei problemi) sono centrati sulla predizione delle competenze degli allievi.

 

Quale metodo è da preferire nella fascia d’età di nostro interesse?

 

Beh, su questa domanda si potrebbero scrivere pagine e pagine, ma il mio obiettivo di oggi non è darvi “soluzioni” ma piuttosto “stimolare” coscienze e conoscenze. Credo che un buon istruttore, oltre a disporre di valide competenze, debba essere in grado di individuare metodi adeguati alle età degli allievi, congruenti con gli obiettivi prefissati, al fine di promuovere e stimolare competenze sul piano emotivo, favorire un’azione interpretativa e creativa, suscitare emozioni e motivazioni, contribuire alla costituzione dell’autostima dei bambini.

Ciò che più conta, in ogni caso, è che devono essere usati da noi insegnanti senza mai perdere di vista la centralità degli allievi e dei loro percorsi di sviluppo-apprendimento.

Appare evidente, una volta ancora, quanto sia delicato e difficile il compito di un istruttore-educatore, e quante e quali variabili ci si possa trovare davanti. La mia esperienza “africana”, ad esempio, mi ha messo davanti a bambini molto diversi dai nostri, a situazioni dove obiettivi e mezzi a disposizione erano profondamente differenti da quelli a cui sono quotidianamente abituato… beh, vi garantisco che ho imparato tanto, e che oggi mi sento sicuramente un istruttore migliore di prima, più “adeguato” e più pronto a saper modulare stili di insegnamento e metodi didattici rispetto a qualche tempo fa.

 

Sergio Mazza

Istruttore nazionale e Formatore della FIP (Federazione Italiana Pallacanestro)

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