MiniBaskeTiamo 7 – Per fare canestro nella vita…

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Ciao amici “Baskettari”… siamo arrivati a fine novembre, e in tutte le società, pur tra le ormai croniche problematiche di strutture, sono ripartite le attività di Minibasket. Ai “vecchi” si aggiungono nuovi bambini, e spesso ci si trova davanti alla problematica di gruppi eterogenei, sia per fascia d’età che per “presunte” capacità, tecniche e motorie…

Io per primo spesso mi pongo davanti al quesito di quale sia la strada più giusta da percorrere, se privilegiare la formazione di gruppi per anni di esperienza o rigida età cronologica, e nelle prossime righe spero di riuscire a “sciogliere un pò di nodi!”

Noi Istruttori siamo quelli che passano in palestra il tempo con i bambini, ma spesso siamo condizionati nelle scelte e nelle decisioni da società e genitori, che cercano di “imporre” le loro necessità…

Fratellini, anche se di età diverse, che magari “devono” stare nello stesso gruppo per necessità di orari (dei genitori), bambini che si legano a compagni del gruppo dell’anno precedente, e mal digeriscono un cambio di gruppo, non considerando le categorie del Minibasket, genitori che vedono come una “limitazione” far allenare i loro figli con bambini della stessa età dei loro figli ma magari meno “esperti” o “capaci”, e società che talvolta, per paura di perdere bambini iscritti, tendono a dare più ascolto alle problematiche dei genitori che a quelle degli istruttori.

 

Di fronte a tutto ciò, spesso mi pongo una domanda…  Perché fare sport?

 

– Rende capaci in una disciplina

– E’ divertente

– Fa stringere nuove amicizie

– E’ salutare e tiene in forma

– Si raggiungono successi

  • Fa vincere e ottenere qualifiche importanti
  • Si può diventare campioni

– …fa sentire importanti!!!

 

Queste le principali risposte che si ottengono al quesito… ma quali tra queste motivazioni appartengono ai ragazzi? …quali agli allenatori? …quali ai genitori?

 

Sarò ripetitivo, ma come già trattato in altri interventi di questa rubrica, sono fermamente convinto che una preziosa capacità di allenatori e genitori è quella di saper riconoscere i bisogni profondi e autentici del bambino, aiutandolo a divenire sé stesso con le proprie abilità e competenze, nel rispetto delle sue motivazioni e aspirazioni.

La pratica sportiva deve essere adeguata al valore che il bambino gli attribuisce, deve essere un’espressione giocosa e divertente attraverso la quale la società sportiva, gli allenatori e i genitori riescono ad impostare una programmazione a lungo termine, che viaggi di pari passo alla crescita fisica ed intellettuale del bambino.

 

Società sportiva, allenatori (o per meglio dire Istruttori) e genitori, insieme, e non contrapposti, come in un vero TEAM al servizio dei bambini.

 

Viviamo, nostro malgrado, in una Società dove vige la regola del “TUTTO SUBITO”: ogni desiderio viene appagato, purtroppo, velocemente e senza troppi sforzi. E quando non si raggiunge quel desiderio, cominciano i problemi…

 

Il modello del DIVISMO condiziona fortemente i comportamenti dei bambini, che troppo spesso vengono condizionati a voler esser per forza mitici, eccezionali, straordinari, e quindi ammirati e osannati come un divo.

 

Anche nello sport i mass-media enfatizzano le gare sportive e i primi arrivati, dimenticando

che è altrettanto meritevole chi arriva ultimo.

Se l’ambizione diviene un’ossessione a volersi distinguere a qualsiasi costo allora si diviene disposti a battere l’altro a qualsiasi prezzo e con qualunque mezzo.

Fino a credere che…. NULLA E’ IMPOSSIBILE!

 

È assolutamente importante che gli adulti riescano ad infondere nei bambini fiducia, a motivarli, a potenziarne l’autostima per raggiungere obiettivi sempre più elevati.

 

Ma non dimentichiamo che è altrettanto importante sviluppare:

– la capacità di combattere per raggiungere traguardi e obiettivi

– la capacità di impegno e sacrificio

  • la disponibilità alla fatica, alla costanza e all’accettazione dei tempi necessari

 

Per sviluppare una buona autostima occorre inoltre saper guardare ai risultati nella loro complessità e quindi anche ai fallimenti e agli errori, altrimenti il rischio è di crescere bambini e ragazzi “narcisisti” che continuano a dipendere dagli altri, da chi tifa per loro e li applaude, per la propria autostima e sicurezza.

Sono fragili e frammentati e quindi molto suscettibili alla critica anche se solo semplicemente implicita o immaginata, hanno una scarsa capacità di sopportare frustrazioni e accettare sconfitte.

 

La Carta dei diritti dei bambini nello sport dell’UNESCO, scritta nel 1992, all’art. 10 recita così:

Diritto di non essere un campione: il ragazzo va considerato non solo in virtù di una buona competenza sportiva e di una qualsiasi eccellenza dei suoi risultati, ma anche e soprattutto con i suoi limiti e la sua inesperienza. Ma ha anche diritto di essere un campione, se il giovane ne ha il talento e la voglia, a condizione che non serva unicamente ad appagare l’ambizione dei genitori, allenatori o dirigenti.

 

NULLA E’ IMPOSSIBILE… ANCHE PERDERE

 

Lo sport di squadra, grazie al confronto, favorisce la consapevolezza e migliora la conoscenza di sé.

Siamo simili ma non uguali, ciascuno ha capacità, talenti e limiti particolari: se riusciamo a riconoscerli e ad ottimizzarli nella squadra possiamo trasformare i limiti in occasioni di crescita e i talenti in energia di gruppo!

Tutti i giocatori di una squadra sono responsabili di svolgere le funzioni necessarie alla realizzazione dell’obiettivo e al mantenimento delle migliori condizioni di lavoro.

 

Un vecchio proverbio cinese (ah… come sono saggi, loro!) dice che:

“Non il grido dell’anatra selvatica, ma il battito delle sue ali induce lo stormo a seguirla”

 

Allora proviamo, nelle nostre palestre, a cambiare le classifiche e le regole…

 

Quando una squadra fa punto?

Quando c’è una stima reciproca

Quando tutti i giocatori si impegnano e si sostengono a vicenda

Quando riesce ad essere creativa

Quando c’è una fiducia reciproca

Quando i giocatori riescono a cooperare e collaborare

Quando riesce a superare i conflitti

Quando è leale

Quando tutti sono consapevoli dei limiti e delle risorse di ciascuno e riescono ad ottimizzarli in funzione della squadra.

Quando riesce a trasformare le sconfitte in occasioni di crescita.

 

Il vero spirito sportivo è quindi il saper perdere con dignità, riconoscendo il valore dell’avversario, gareggiare per misurare se stessi, come mezzo per migliorarsi, non per voler battere l’altro a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo.

Questo sarebbe la negazione non solo dello spirito sportivo, ma dei principi morali in genere.

 

Per chiudere, quindi, ben vengano gruppi eterogenei per capacità, meno per fasce d’età, perchè il confronto va stimolato tra bambini con le stesse potenzialità cognitive, e non tecniche, e soprattutto perchè in questa fase di crescita non possiamo mettere il risultato sportivo avanti a tutto. Non bisogna aver fretta di diventare campioni, e questo è bene tenerlo sempre presente, sia da parte degli istruttori, che (soprattutto) da parte delle altre componenti interessate alla crescita del bambino/atleta, ossia famiglia e società sportiva.

 

Senza polemica, se genitori e società dessero un pizzico di ascolto in più alle competenze e alle motivazioni degli istruttori, credo potrebbero diventare un ottimo “alleato” degli istruttori, uniti con un solo obiettivo… AIUTARE I NOSTRI BAMBINI!

 

Sergio Mazza

Istruttore nazionale di MiniBasket e Formatore per la FIP (Federazione Italiana Pallacanestro)

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